Sono trascorsi dieci anni dal tragico evento, e il dolore è sempre vivo nelle menti e nei cuori di tutti. In particolare saluto i parenti con l’affetto di tutti noi. Come vorremmo poter lenire lo strazio di quei giorni che per voi non passano!
Nelle nostre vite abbiamo momenti più ‘scuri’ e difficili, per questo è davvero bello oggi dirci e ridirci l’augurio che la liturgia bizantina si fa quando si fanno gli auguri di Pasqua, e cioè «Cristo è risorto» e l’altra persona risponde «è veramente risorto». Questo è l’augurio che ci facciamo oggi, al di là dell’espressione “buona Pasqua” che fa parte della nostra cultura; il senso profondo della Pasqua è questo: dirci reciprocamente: «Cristo è risorto, Cristo è veramente risorto».
Il Signore è risorto, il Signore veramente risorto. Questo è il bellissimo annuncio che come cristiani noi facciamo in questa veglia. È davvero bello dircelo. Il signore risorto è veramente risorto e l’augurio che fanno le chiese sorelle nella liturgia bizantina, ovvero questo bellissimo saluto di buona Pasqua, signore, rende proprio l’idea che il signore è risorto.
Abbiamo sentito il racconto evangelico della passione di Gesù dove non emerge chiaramente il timbro eroico della sopportazione del dolore, emerge piuttosto l’accettazione dell’ignominia, anche la più estrema. E questo modo di vivere di Gesù ci parla chiaramente, mette in tutto il suo splendore, l’amore con il quale Gesù ci ha amato perché nell’ignominia, custodire l’amore, significa aver ceduto in modo così radicale i propri diritti da far vedere l’unica cosa che muove il cuore di Gesù. A Gesù interessa l’intimità con il Padre e la solidarietà con i fratelli, è questo che gli interessa, e cede in modo radicale i propri diritti.
“Cari confratelli, grazie per tutto il bene che fate nelle nostre comunità, grazie per la dedizione e il servizio che spesso mi sorprende e mi commuove, grazie per i valori evangelici di tante vite sacerdotali, nascoste, umili, oggi si direbbe di basso profilo, in senso molto positivo che sono una grande risorsa e conforto del nostro presbiterio. Il Signore saprà ricompensarvi di tutto il bene che fate alla nostra Chiesa.
Abbiamo ascoltato nel Vangelo di Giovanni la reazione di Pietro a Gesù che vuole lavare i piedi, «Signore, tu lavi i piedi a me?» Ed è la ribellione che già ben conosciamo quando di fronte alla prima predizione della passione di Gesù, Pietro si ribella, si ribella ancora una volta e anche stasera l’abbiamo sentito. È la ribellione che comporta un po’ il cammino di accettazione dello scandalo della Croce.
Care sorelle e fratelli. Non solo voi che siete qui ma in tutti i quartieri di Genova, e nelle valli dell’entroterra. Vorrei chiedere a ciascuno di voi: come stai? Cosa provi in questo periodo della tua vita? Di cosa sei preoccupato, e cosa desideri? Cosa ti dà la spinta per andare avanti? Quali persone senti vicine?
La mia prima preoccupazione, infatti, è che come cristiani sappiamo generare comunità aperte, inclusive, con uno stile di prossimità e di attenzione verso chi abbiamo intorno. Che siamo persone di relazione, che non aspettiamo che siano gli altri ad avvicinarsi, ma che usciamo curiosi verso altri ambienti, dove stringere nuove relazioni, scoprire nuove alleanze feconde. Ogni volta che facciamo questo, incarniamo la Buona Notizia nell’umanità di oggi.
Il tema “Europa e San Tommaso” è di ampio respiro e di estrema attualità: mi riferisco non solo al grave, complesso e complicato conflitto in atto, ma altresì alla situazione culturale che vuole invadere l’anima dei singoli e dei popoli, con ricadute sociali sempre più evidenti. L’Europa, infatti, non è innanzitutto una geografia ma un’anima, cioè un patrimonio di cultura, ideali, valori. E’ un ideale e una continua aspirazione, cioè un compito.