Saluto ai giovani dell’Arcidiocesi

Omelia pronunciata in Cattedrale nella S. Messa di saluto ai giovani dell'Arcidiocesi
27-06-2020

Arcidiocesi di Genova

Sabato 27.6.2020

Saluto ai giovani

OMELIA

 

Cari Giovani Amici

Per quattordici anni Dio ha affidato voi alla mia cura di Vescovo. Ora passo la mano, ma non passo il cuore: non è possibile, poiché l’amore ha un inizio ma, se vero, non ha fine.

 

La mia vita sacerdotale è cominciata a 23 anni, nel 1966, quando il Cardinale Giuseppe Siri mi ordinò sacerdote insieme a ad altri 15 compagni. Avevo 23 anni e la gioia esplose nel pianto abbracciando i miei genitori in sacrestia. Quel bambino che era cresciuto nei vicoli qui accanto, che aveva giocato tra le case distrutte dalla guerra, aveva intravisto qualcosa nel sacerdozio, qualcosa che non riusciva a dire ma che lo attirava misteriosamente. Oggi posso dire che mi sono lasciato semplicemente guidare: non ho fatto ragionamenti complicati, o calcoli su ciò che mi conveniva scegliere. Il sogno dei miei genitori – poveri e semplici – era che diventassi ragioniere, poiché i professori della scuola media vedevano il mio impegno. L’università era fuori da ogni orizzonte.

Qualcuno continuava a lavorare dentro, e io non opponevo resistenza. Certamente il clima generale non era favorevole alla mai scelta che aveva creato giudizi e sarcasmo verso i miei come se ne fossero colpevoli. Volli entrare in seminario in quarta ginnasio con grande sorpresa e non pochi timori della mia famiglia.

L’Arcivescovo mi mandò curato nella parrocchia di santa Teresina ad Albaro, dove rimasi per 30 anni e collaborai con tre parroci. Nel 1968, in piena rivoluzione culturale, il Cardinale mi mandò all’università per fare filosofia: conobbi barricate, aule occupate, compagni di ogni genere. Mi trovai in mezzo ad un mare di idee, contestazioni, utopie, con docenti di diverse tendenze e metodi, anche di grande livello. Fu una grande palestra, dove il Signore mi guidò per orientarmi, per non cadere in confusione di mente e di cuore; mi aiutò nel discernimento per capire meglio il grano buono dalla zavorra, la verità dalle mode, le intenzioni buone soggettive dagli errori oggettivi, le grandi idee dalle passioni emotive, gli ideali veri dalle ipocrisie mascherate. E così tutto fu grazia!

Come ogni giovane sacerdote in parrocchia, il principale compito erano i ragazzi e i giovani: l’Azione Cattolica, gli SCOUT, gruppi parrocchiali. Nel 1980 mi furono affidati anche gli universitari della FUCI diocesana. L’insegnamento di italiano nel ginnasio e della filosofia prima in liceo e poi nella Facoltà teologica, fu un’occasione d’incontro anche con i seminaristi, esperienza che mi ha stimolato e segnato profondamente.

Perché vi ho detto queste cose di me? Forse per mettermi in mostra? Se mi conoscete, sapete che non è per questo ma solo per aprirvi un po’ il cuore, come un padre che – pur continuando ad amarvi – parte. Allora sente che gli è più facile vincere la sua innata timidezza, e sa che dire qualcosa della propria vita e del proprio sentire interiore può aiutare coloro che hanno ancora da scrivere la vita. La vita, dono meraviglioso di Dio, che non può essere giocata male senza pensare con la propria testa, senza lanciare il cuore in alto, verso gli ideali che non si misurano con il successo umano ma con la bellezza della propria anima; non con l’appariscenza delle cose ma con la bellezza del proprio mondo interiore. E’ per questo che vi ho scritto quelle poche righe nel comminato alla Diocesi: “Scrivo a voi, giovani, primavera del mondo: non sbagliate la vita. Esistono altezze che neppure potete immaginare, ma che l’anima può raggiunge e che vi aspettano. La cultura, ogi, non vuole che siate persone consapevoli e libere, ma ricordate: solo la verità libera da menzogne e miti, e la verità è Cristo. La sua parola è alta e non tradisce”.

Mi sembra che possa essere questo un commento al vangelo che abbiamo ascoltato: vangelo esigente e alto, che non deve spaventarvi ma incitarvi a non arretrare davanti alla bellezza della vita spesa per Gesù. come non ci si spaventa di fronte a una vetta alta e immacolata che sfida e affascina, rende umili e incoraggia. Vi prego di rileggere spesso questa pagina: è Cristo che parla a ciascuno di voi e vi invita ad guardare in alto, a non accontentarvi delle mezze misure. Le vostre fragilità non devono spaventarvi e farvi gettare la spugna: è questa una vecchia strategia del diavolo, lo scoraggiamento, il non sono capace, il non sono degno di stare con Lui, di seguirlo, di dargli la vita.

Quel piccolo bambino che è anche in me, come in ciascuno, continua a non essere degno di seguirlo, ma è qui con i suoi pesi, i limiti e gli errori, ma soprattutto è con Lui che, come un buon compagno di cammino, come una esperta guida in montagna, sostiene, incoraggia, rialza, indica il sentiero alla luce del giorno, e di notte al chiarore delle stelle, nel caldo e nel freddo, con la sete e con la sorgente improvvisa che appare come l’antica acqua dalla roccia. Passo dopo passo si arriva in cima destinata a ciascuno: da quella cima si vede il mondo e si tocca il cielo. Ed è commozione e gioia. Si vede che non sono le grandi cose che aprono gli orizzonti, ma il mondo grande di fare le cose di ogni giorno, la nobiltà del desiderio, la lotta per la verità e la bellezza che risplende nel sole, il volto di Gesù.

La Madonna vi guarda: lasciatevi guardare da lei in ogni situazione. Con lei. nulla sarà mai irreparabile: Lei è ianua coeli, la porta del cielo perché è la grande Madre di Cristo, e da quella maternità nessuno di noi uscirà mai.

Angelo Card. Bagnasco

Amministratore Apostolico di Genova