Intervento per il Convegno sul Cardinale Boetto – 03.05.2018

Albergo dei Poveri
07-05-2018
Arcidiocesi di Genova
Albergo dei Poveri 3.5.2018
Convegno sul Cardinale Pietro Boetto ‘Giusto tra le Nazioni’
 
Intervento del Cardinale Angelo Bagnasco
Arcivescovo di Genova
Autorità,
Gentili Signore e Signori
Cari giovani
Sono grato agli organizzatori di questo Convegno sulla figura del Cardinale Pietro Boetto che fu Arcivescovo di Genova dal 1938 al 1946. Con Lettera del 19 gennaio 2017- a firma di Irena Steinfeld – lo Yad Vaschem di Gerusalemme lo ha riconosciuto ‘Giusto tra Le Nazioni’ per avere aiutato e salvato molti ebrei negli anni oscuri dello sterminio perpetrato dal Nazismo. Per questo, il suo nome verrà inciso per sempre sul Muro d’Onore del Giardino dei Giusti di Gerusalemme. Questo altissimo riconoscimento è un grande onore per la Chiesa genovese, per la Città e per me che ne sono suo modesto successore come Pastore della Diocesi.
1. Il Cardinale degli Ebrei
Nel giorno dei funerali del Cardinale (3 Gennaio 1946), apparve sul Settimanale della Diocesi ‘Il Cittadino’, un ricordo dell’avvocato Salvatore Jona, figura di spicco della Comunità ebraica genovese. Ecco alcuni passaggi: ‘La morte del Cardinale Boetto è un grave lutto non solo per i cattolici (…) Il Cardinale fece tutto quanto era umanamente possibile per salvare la vita degli Ebrei’Cominciò con l’offrire rifugio al Rabbino (…) poi si prodigò a creare un’organizzazione che potesse convenientemente soccorrere i perseguitati (…) costituì all’ombra della Curia un vero e proprio ufficio. Si nascondevano, si nutrivano gli Ebri fuggiaschi (…) Pochi sanno quale ampio e vasto organismo pulsasse sotto l’impulso diretto del Cardinale per compiere una così straordinaria opera di bontà. Le nostre sofferenze ci insegnarono allora ad intendere la voce dei cuori amici: il gran cuore del Cardinale ci parlava teneramente come a dei figli. Così, Pietro Boetto divenne anche per noi il Cardinale: il Cardinale per antonomasia, il nostro Cardinale’.
L’opera dell’Arcivescovo era sostenuta da uno stuolo di sacerdoti pronti a rischiare la vita: tra questi Mons. Franco Repetto, Mons. Carlo Salvi, Mons. Emanuele Levrero, anch’essi nel numero dei “Giusti tra le Nazioni’. Inoltre, il Vescovo Ausiliare Giuseppe Siri, Don Giacomo Lercaro, Mons. Domenico Corsellini’: alcuni furono anche incarcerati. L’azione di rifugio e di sostegno non cessò mai, anche per trovare le strade d’uscita dall’Italia verso l’estero. In tutto, egli poteva contare sulle parrocchie, ma anche sui monasteri e sui conventi della Diocesi.
Erano anni bui, che hanno misurato – se possibile – fin dove il male può arrivare: per questo non si deve dimenticare il passato sia nel bene, sia nella tragedia di un male lucido e programmato. Non dobbiamo vivere nella paura e nell’angoscia del male possibile o presente sulla terra, ma neppure dobbiamo essere superficiali e ingenui, seguendo schemi che tendono a oscurare o sminuire i fatti e le cause. Infatti, durante il regime nazista e fascista, non solo sono accaduti fatti terribili di discriminazione razziale e di inaudita efferatezza contro la dignità della persona umana, ma tali fatti erano supportati da leggi: per tutte, basta ricordare le leggi di Norimberga del 1935 in Germania, e la legislazione razziale in Italia a partire dal 1938 che, ai crimini, assicuravano copertura giuridica.
In quell’epoca, la persecuzione razziale e l’oppressione del singolo erano divenute contenuto della legge dello Stato. La legge – anziché garantire i diritti dei cittadini – si era trasformata in strumento di oppressione: il male era diventato legge e, come tale, i cittadini dovevano osservarla. In questo modo anche gli atti più orrendi potevano essere facilmente metabolizzati, e il male veniva banalizzato. La verità era rovesciata con cinismo e arte.
Cari Amici, vivere davanti alla verità ci rende liberi da menzogne concettuali o storiche, ci fa più attenti e saggi per non essere preda di deliri, perché la nostra mente non sia distorta; ci sollecita ad essere umili e pensosi per vigilare sulle nostre persone, su paure e illusioni, su culture e società. In una cultura liquida, non si riesce più a dare il nome giusto alle cose, tutto appare informe, neutro, non di rado il male sembra diventare bene e viceversa, l’ingiusto giusto.
2. Defensor Civitatis
L’8 dicembre 1945, nelle sale del Municipio, l’Autorità civile genovese conferiva il riconoscimento di ‘cittadino onorario al Cardinale della liberazione’. Sappiamo che diverse furono le forze in campo durante l’occupazione tedesca: forze organizzate e forze sparse, laiche e ecclesiastiche. Tutte hanno fatto la loro parte. Il 7 maggio del 1945, il Comitato di Liberazione Nazionale per la Liguria, ricevuto in udienza dall’Arcivescovo, ringraziò ufficialmente il Pastore per la sua instancabile opera di vicinanza e di aiuto agli Ebrei e a Genova, e – in riconoscenza per la mediazione con il Comando tedesco – chiamò il Cardinale ‘Defensor Civitatis’.
Com’è noto, il generale tedesco Guenter Meinhold, comandante delle truppe di occupazione a Genova, dopo alcuni giorni di lotta armata attorno al 23 aprile del ’45, fece sapere a Boetto che avrebbero lasciato la Città senza distruggerla se i tedeschi avessero potuto ritirarsi indisturbati. Tutto era pronto per far saltare il porto, i palazzi, le vie di comunicazione già minate, tutto per rendere Genova come Varsavia: rasa ala suolo. La decisione dipendeva dal Fuhrer, a cui si doveva obbedire senza discussione. Qui il Cardinale tentò tutto, e il 24 Aprile scrisse una lettera a Meinhold, dove diceva:
“Con dolore assistiamo alla lotta tragica che sta insanguinando la nostra Città. Sappiamo che voi siete sul punto di prendere decisioni ben gravi contro di essa (…) Facciamo appello ai vostri sentimenti di umanità perché risparmiate alla nostra Città ciò che ne potrebbe fare un massacro (…)
Vogliate accogliere, Sig. Generale, il nostro supplice grido che è il grido accorato di tutta la cittadinanza’. La lettera fu consegnata personalmente da Mons. Siri che riferì all’Arcivescovo che il Generale sarebbe giunto a Villa Migone il giorno dopo, 25, alle ore 16. Così avvenne, e nella mezz’ora di intenso colloquio, all’obiezione del Militare ‘Ma io ho giurato di obbedire al Fuhrer!’, il Cardinale rispose. ‘Ma al di sopra del Fuhrer, c’è Dio!’. Dopo il colloquio, uscirono dallo studio e il Cardinale disse a coloro che nel frattempo erano giunti alla residenza: ‘Ora tocca a voi completare l’opera’. Erano presenti a Villa Migone i rappresentanti di tutti i partiti, il Presidente del Comitato di Liberazione Nazionale per la Liguria Remo Scappini, alcuni Comandanti dei Partigiani, il Console Generale della Germania. Dopo circa un’ora, l’intesa era raggiunta, e fu redatto l’atto di resa.
La sera del 26 aprile le avanguardie americano giungevano a Nervi, e il 27 sui muri della Città grandi manifesti dicevano:
‘Popolo genovese sei libero!
Con l’animo pieno di commozione,
le tue nuove autorità democratiche ti dicono ‘Sei libero’.
Comportati, in queste ore tanto gravi e solenni,
in modo che tutto il mondo possa dire
che tu sei degno di questa libertà’
3. Il Cardinale degli operai
Una parola ancora è giusto dirla a proposito della particolare vicinanza che il Card. Boetto ebbe per il mondo del lavoro. Infatti, nel 1943 l’Arcivescovo fece approdare a Genova l’opera di Assistenza Religiosa e Morale per gli Operai (ARMO). In verità l’Opera era iniziata a Roma per iniziativa di Mons. Ferdinando Baldelli.
La presenza pastorale dei Cappellani di Fabbrica era ispirata da un approccio puramente pastorale; nient’altro. Tutti – a tutti i livelli – dovevano poter rivolgersi al Cappellano che li visitava in punta di piedi in quanto Sacerdote, senza alcun altro fine. Una confidenza, una parola di incoraggiamento o un consiglio, un problema di salute o di famiglia-tutto poteva essere deposto nel segreto del cuore sacerdotale con fiducia e libertà. I Cappellani – ora come allora – sanno che la loro semplice presenza, il loro essere visibili e rispettosi secondo i giorni, gli orari e i luoghi stabiliti, è già un messaggio che tocca i cuori, e che penetra a volte la scorza di iniziale diffidenza o di pregiudizio. Il Cardinale descriveva questa particolare missione così: il Cappellano doveva “avvicinare gli operai e gli impiegati, cattivarsene gli animi, prestarsi ad ogni esigenza che sia compatibile con il loro ministero, interessandosi delle loro famiglie, incitare al bene, svolgere quelle iniziative spirituali meglio adatte ai singoli ambienti’
E, parlando delle sue visite ai lavoratori scriveva: ‘Tra le pecorelle che Dio ha affidato alla mia cura – scriveva il Cardinale – il ceto operaio è certo la porzione più cara al mio cuore. Tra le consolazioni che Iddio di tempo in tempo elargisce al mio ministero, una delle più belle è sempre stata la mia andata negli stabilimenti per il precetto pasquale delle maestranze’.
4. La sorgente segreta
Il ricordo del Cardinale Boetto sarebbe manchevole se non ci chiedessimo da dove egli traesse ispirazione e forza nella difesa della Città, nella salvezza degli Ebrei, nell’aiuto ai poveri, nel sostegno affinché la fiducia non morisse nel cuore del popolo. Il suo volto lasciava trasparire una pace di fondo che a volte poteva apparire temeraria: essa non proveniva dal suo buon carattere, ma dall’intima unione con Dio. In qualunque impresa, voleva essere solo e tutto prete. Per ogni questione che il dovere di Pastore gli imponeva, l’altare doveva essere il punto di partenza e il punto di arrivo. E così insegnava ai suoi Sacerdoti, che egli amava con amore paterno, e verso i quali nutriva una particolare predilezione. Anche nei momenti più difficili, nei quali tutto sembrava perduto sotto il giogo di ordini violenti e indiscutibili, il cuore sanguinava, ma restava aperto alla speranza. E pregava! Per questo i suoi occhi riuscivano a vedere l’invisibile mano di Dio che teneva fermi i suoi passi sui burroni, e fermo il suo cuore per tenere la barra al centro mentre il mondo tremava.
Ricordare oggi è giusto e necessario, ma non basta! È necessario che la storia diventi ‘magistra vitae’: perché questo accada, richiede conoscenza, riflessione, onestà intellettuale, ed esige rispetto. Allora sì, diventa maestra solerte e ci dona lezioni di saggezza anche quando narra pagine oscure. Cari Amici, Leonardo da Vinci diceva che ‘La sapienza è figlia dell’esperienza’, ma ricordiamo che l’esperienza può essere quella nostra, ma anche quella degli altri che la storia scrive.
Card. Angelo Bagnasco
Arcivescovo Metropolita
 
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