Concluse le celebrazioni per i 20 anni di missione a Cuba. Il cammino nella fraternità ecclesiale continua

Con la celebrazione della S. Messa in Cattedrale domenica 19 ottobre si sono concluse le celebrazioni per ricordare i 20 anni di presenza missionaria a Cuba, nella Diocesi di Santa Clara.

Dopo gli appuntamenti nelle diocesi di Chiavari e Savona e dopo la veglia missionaria nella Chiesa di Santa Marta dello scorso 17 ottobre, Mons. Arturo González Amador, vescovo di Santa Clara, ha concelebrato in San Lorenzo la S. Messa presieduta da Padre Marco Tasca.

È stata una settimana intensa, segnata da incontri, condivisione e autentica amicizia. Potremmo dire — nel linguaggio della fede — che è stata una settimana di riconoscenza: riconoscenza per i vent’anni di collaborazione tra due Chiese lontane geograficamente, ma vicine nel cuore e nella missione, perché unite nell’unica Chiesa universale di Cristo. La distanza dei chilometri, infatti, non divide ciò che lo Spirito Santo unisce. Come ricorda san Paolo, «c’è un solo corpo e un solo Spirito» (Ef 4,4): la comunione ecclesiale trascende i confini, le lingue e le culture, e rende ogni comunità parte viva del mistero della cattolicità.

Questa fraternità ecclesiale è segno e frutto della grazia, ma anche testimonianza concreta di quella “spiritualità di comunione” tanto cara a san Giovanni Paolo II, che ci invita a «fare spazio » al fratello, portando « i pesi gli uni degli altri » (Gal 6,2)

I vent’anni di collaborazione tra le due Chiese — una in Italia e una Cuba — rappresentano così non solo una felice cooperazione missionaria, ma un’icona vivente del mistero della Chiesa, che è una e plurale, locale e universale, radicata nei popoli ma aperta al mondo intero. In questo incontro di popoli e di fedi, si manifesta il volto di una Chiesa che non conosce frontiere, ma cammina nella storia come sacramento di unità e strumento di carità.

Per questo, la riconoscenza diventa atto teologico: è memoria viva dell’opera di Dio che ha fatto germogliare, nel tempo e nella distanza, una fraternità missionaria che parla il linguaggio del Vangelo.

C’è un dato ulteriore che desideriamo sottolineare: la cooperazione e la conoscenza ci rimandano alla dimensione essenziale della Chiesa di essere “ad gentes”, cioè missionaria per natura. Negli ultimi anni, la trasformazione della geografia del cattolicesimo nel mondo — con la crescita delle Chiese del sud globale, la secolarizzazione dell’Europa e il flusso continuo di religiosi, laici e sacerdoti stranieri che arricchiscono le nostre comunità — ha inciso profondamente anche sulla pastorale missionaria. Questi cambiamenti ci richiamano con forza a una verità fondamentale: la Chiesa, per mandato divino, è inviata alle genti per essere “sacramento universale di salvezza” (Ad Gentes, 1), portando l’annuncio del Vangelo a ogni uomo e donna della terra.

La Chiesa non può dimenticare che, nonostante la diminuzione della pratica religiosa e delle vocazioni in Europa, essa è e rimarrà sempre chiamata a essere “ad gentes”. Il verbo chiave del Vangelo resta lo stesso: partire, partire, partire. I mutamenti della modernità non annullano la vocazione missionaria, ma la rendono ancora più urgente. La Chiesa è chiamata a rinnovare e salvare ogni creatura, affinché gli uomini e le donne possano costituire in Gesù Cristo una sola famiglia e un solo popolo di Dio.

La recente presenza di Mons Arturo González Amador, vescovo di Santa Clara insieme al nostro vescovo Mons Marco Tasca, e le testimonianze dei nostri sacerdoti fidei donum, colme di entusiasmo e di fede, hanno ricordato a tutti noi che la missione “ad gentes” non è finita. Le trasformazioni della missione “ad intra”, cioè l’attenzione alla pastorale locale, non sostituiscono e non fermano la necessaria apertura verso le Chiese sorelle nel mondo. Oggi più che mai, la missione è ovunque, ma la missione ad gentes mantiene un’urgenza e un’importanza primaria: essa rimane il cuore pulsante della Chiesa, che vive per annunciare Cristo e condividere la sua salvezza “fino agli estremi confini della terra” (At 1,8).

 

Il video dell’omelia dell’Arcivescovo QUI