WEBINAR DELL’UFFICIO NAZIONALE PER GLI ACCOMPAGNATORI DEI CATECUMENI

Anania, maestro di accompagnamento: il volto dell’accoglienza nel catecumenato

Tre webinar del servizio nazionale per il catecumenato riflette sulla f profilo di chi accompagna i cercatori di Dio

di Redazione

“Non sappiamo chi busserà alla nostra porta”. Con queste parole è iniziato il webinar organizzato dal Servizio Nazionale per il Catecumenato, dedicato alla figura dell’accompagnatore. Un tema centrale per le nostre comunità, chiamate ad accogliere persone che portano nel cuore domande profonde e hanno bisogno di una “luce speciale” per essere guidate verso Cristo.

Il percorso formativo di quest’anno si concentra proprio su chi sta accanto ai catecumeni e ai neofiti: non possiamo prevedere chi arriverà, ma possiamo preparare chi li accompagnerà in questo cammino di fede.

Anania: piccolo grande protagonista

Don Sebastiano Pinto, biblista, ha introdotto i partecipanti alla figura di Anania, il discepolo di Damasco che Dio sceglie per accompagnare Saulo dopo l’esperienza sulla via di Damasco. Una figura minore nel racconto degli Atti degli Apostoli, eppure decisiva.

“Anania è una figura ancillare, secondaria, ma proprio per questo rappresenta bene il ruolo di chi accompagna”, ha spiegato don Sebastiano. Il testo biblico (At 9,10-22) presenta un uomo chiamato per nome, con una missione precisa: andare da Saulo, il persecutore dei cristiani, imporgli le mani e introdurlo alla vita della comunità.

La reazione iniziale di Anania è di resistenza: “Signore, ho sentito quanto male ha fatto quest’uomo ai tuoi fedeli”. È la paura che spesso blocca anche noi di fronte a chi ci sembra troppo lontano, troppo diverso, troppo difficile da accompagnare. Eppure Anania supera le sue resistenze, si fida del progetto di Dio e compie gesti concreti: va, entra nella casa, impone le mani, chiama “fratello” il persecutore, lo accoglie, condivide il cibo, lo battezza, lo introduce nella comunità dei discepoli.

“L’accompagnatore non conosce tutto il percorso”, ha sottolineato il biblista, “interviene in un momento specifico, in modo provvidenziale, e poi lascia che la storia continui”. Come i giudici nell’Antico Testamento, come Filippo con l’eunuco etiope, come Giuseppe accanto a Maria e al Bambino nei momenti più fragili: figure che accompagnano per un tratto di strada e poi si ritirano discretamente.

Una spiritualità da condividere

Don Daniele ha approfondito la dimensione spirituale dell’accompagnatore, partendo dall’annuncio di Andrea a Pietro: “Abbiamo trovato il Messia”. “L’accompagnatore può condividere solo ciò che ha sperimentato e ricevuto come dono”, ha affermato. Non si tratta di essere perfetti, ma di essere autentici testimoni di un incontro che ha cambiato la vita.

La spiritualità dell’accompagnatore si nutre di tre dimensioni essenziali. Innanzitutto il contatto stabile con Cristo: nella Parola, nei sacramenti, nell’Eucaristia, nella comunità, ma anche nel volto stesso del catecumeno che accompagniamo. “Chi accompagna deve mantenere viva la propria fede”, ha ricordato don Daniele citando i documenti della Chiesa italiana: “Prima sono le comunità ecclesiali, poi i catechisti, poi i catechismi”.

C’è poi la dimensione ministeriale: chi accompagna risponde a una vocazione, non è un “battitore libero” né un “supereroe della fede”, ma un membro della comunità che esprime la cura della Chiesa verso i fratelli. Questo richiede una decisione consapevole per Cristo e un’integrazione progressiva tra fede e vita.

Infine, la dimensione comunitaria: “Per crescere un bambino ci vuole un intero villaggio”, recita un proverbio africano. Allo stesso modo, per accompagnare un catecumeno serve una rete di persone che lavorano insieme, in una sorta di “danza” dove ognuno ha il suo passo, il suo momento, il suo contributo.

Un dettaglio importante: “Il catechista deve essere più abile a tacere che a parlare”, ricorda il Rinnovamento della Catechesi. Accompagnare non significa invadere, ma attendere, rispettare l’azione dello Spirito, lasciare spazio alla maternità della Chiesa.

L’arte dell’ascolto e dell’incontro

Giusi ha affrontato la dimensione psicopedagogica dell’accompagnamento, sottolineando che il catecumenato è un cammino di formazione integrale, non solo dottrinale. “L’accompagnatore deve essere testimone, facilitatore, compagno di viaggio spirituale”, ha spiegato.

La competenza fondamentale? L’ascolto attivo, che non è solo sentire le parole, ma accogliere la persona intera. Significa ripetere con parole proprie ciò che l’altro ha detto (“Se ho capito bene, tu senti che…”), fare domande per approfondire, riconoscere le emozioni (“Percepisco che questo è stato un momento difficile per te”), saper stare nel silenzio senza riempire ogni pausa.

“La comunicazione passa anche attraverso il corpo”, ha ricordato Giusi: lo sguardo, il tono di voce, come ci sediamo rispetto all’altro. Tutto comunica apertura o chiusura, interesse o distacco.

L’accompagnatore efficace è un testimone credibile, che mostra la coerenza tra fede professata e vita vissuta. “Non è una persona perfetta”, ha precisato Giusi, “la sua umanità e fallibilità farà capire al catecumeno che anche lui può intraprendere questo cammino”. Chi accompagna non si limita a spiegare la preghiera, ma prega con il catecumeno; non solo illustra l’Eucaristia, ma vive intensamente la Messa domenicale.

Un passaggio significativo ha riguardato la distinzione tra “integrare” e “incorporare”. “La parola integrazione suggerisce un processo unilaterale, senza che la comunità si sposti verso la novità costituita dal neofito”, ha spiegato usando una metafora culinaria: come il bianco d’uovo montato a neve che viene incorporato nell’impasto, entrambi si trasformano creando qualcosa di nuovo e più ricco. “La comunità acquisisce una nuova identità ogni volta che incorpora un nuovo membro”.

Lo stile di Gesù, maestro di accompagnamento

Papa Francesco, in una catechesi dello scorso ottobre, ha delineato lo stile dell’accompagnamento di Gesù sulla via di Emmaus: si avvicina con discrezione, preferisce il linguaggio della prossimità e della normalità, condivide la tavola, si fa compagno di strada.

Questo è lo stile che ogni accompagnatore è chiamato a far proprio: non stare fermi in una stanza, ma mettersi in movimento con chi deve accompagnare; non avere tutte le risposte, ma saper camminare insieme nelle domande; non essere perfetti, ma autentici; non agire a nome proprio, ma a nome di una comunità che accoglie e si prende cura.

Una Chiesa in ascolto

“Quando Anania supera le sue resistenze e va da Saulo”, ha concluso don Sebastiano, “permette alla storia della salvezza di continuare. Allo stesso modo, vincere le nostre resistenze – il pregiudizio, la paura, il senso di inadeguatezza – ci permette di essere collaboratori nella storia vocazionale di coloro che ci vengono affidati”.

Il webinar ha raccolto centinaia di partecipanti da tutta Italia, molti servizi diocesani collegati al completo. Un segno che le nostre comunità sentono l’urgenza di prepararsi ad accogliere i cercatori di Dio che bussano alle porte delle parrocchie.

Il percorso formativo continuerà con altri due webinar, una giornata di studio a gennaio e una formazione residenziale a febbraio. Perché, come ha ricordato chi ha introdotto l’incontro, “noi non possiamo prevedere chi arriverà a bussare alla nostra porta, ma possiamo preparare chi accompagnerà queste persone nel loro cammino verso Cristo”.