Silenzio, pensiero e parola

Nel precedente articolo ho evitato volutamente l’analisi della “Parola” che crea, del “dire” di Dio in Gen 1,1-2,4a, da cui emergono e prendono vita gli elementi della creazione. Volevo, infatti, scendere maggiormente in profondità riguardo a ciò che sembra determinare il venire al mondo di cose, animali e uomo.
Ciò in ragione del fatto che proprio il parlare di Dio genera alcune domande, che necessitano di un’indagine specifica.
La prima volta che compare il verbo dire riferito a Dio è al v. 3: “E Dio disse: “Sia la luce, e fu la luce””. “Dio disse”, questi termini ritornano altre otto volte nel c. 1 di Genesi. Di queste nove volte totali solo in due, vv. 28.29, le ultime, Dio sembra rivolgersi veramente a qualcuno, ovvero al genere umano appena creato, l’’adam, che sarà protagonista dei cc. 2 e 3. E le altre volte? Con chi parla Dio le altre volte?
Si direbbe con nessuno, visto che, soprattutto nella prima ricorrenza, non esiste letteralmente anima viva. Se pensassimo a un cristiano come autore del primo capitolo della Scrittura, si potrebbe parlare di dialogo intra trinitario. Ma non è chiaramente così. L’autore “sacerdotale”, vissuto almeno quattro secoli prima di Cristo, non aveva quest’intenzione. E allora? Dio parla tra sé? Potrebbe essere una soluzione. Ma io credo in un’altra possibilità, e la domanda a questo punto che pongo è questa: Dio parla realmente?
Mi viene in aiuto la storia delle lingue semitiche. Il verbo ebraico ‘amar, “dire”, trova la sua origine in lingue più arcaiche come l’Accadico, che riporta come significato del verbo amaru, l’equivalente dell’’amar ebraico, non tanto “dire” quanto “pensare”. Il termine passa poi nelle altre lingue semitiche, come ad esempio nell’ugaritico, dove ritroviamo amara, che ha già il significato di “dire”, assieme a quello secondario, molto interessante, di “vedere”.
Quindi il verbo “dire”, ha alla sua radice il “pensare”, e in seconda battuta il “vedere”. D’altronde il termine ebraico viene talvolta impiegato anche nella Scrittura proprio con il senso di “pensare”.
In un primo tempo, dunque, la creazione avviene ad opera del pensiero di Dio.
Dio pensa e la luce è, e la luce consente il “vedere”, il distinguere cose e immagini. Il pensiero è la prima parola di Dio, una parola non detta che mette in atto il cosmo, il tempo, la vita.
Il percorso diventa così molto chiaro: un pensiero crea fino ad un “tu”, l’uomo, con cui si può “parlare” ed entrare in relazione.
Il pensiero, in sé, è silenzio. È ciò che nasce per primo dal silenzio dell’eternità, da quel “sottofondo” fecondo, “covato” dallo Spirito, da cui si determinano le condizioni della creazione. E nel silenzio avviene l’atto di Dio, del Dio che pensa, mostrando ancora come il silenzio è il grembo da cui emerge l’ordine, e poi la parola, e dalla parola la relazione.
Silenzio, pensiero, parola e quindi relazione. Ma anche pensiero e silenzio sono relazione, perché fondano e ordinano la parola, generandone la fecondità e la limpidezza. Diversamente la parola potrebbe essere vuota, inutile o addirittura dannosa.
La riflessione che ricaviamo da tutto ciò è semplice quanto difficile da mettere in atto, poiché necessita di attenzione e custodia, come la parola stessa.
Il silenzio ci pone di fronte a noi stessi, così come Dio si “vedeva” nel momento della creazione. Ciò dovrebbe consentirci di vegliare sul nostro pensiero, altrimenti incline a pregiudizi, per poter a nostra volta “dire” con maggior profondità e franchezza.
Il silenzio può, dunque, divenire anche per noi strumento di parola, sia in sé (il silenzio “dice” quanto la “parola”) sia come momento in cui la parola viene pensata e ordinata, in vista del suo essere espressa.
Fare silenzio, facendo tacere le nostre precomprensioni in favore dell’”eternità”, è il modo per creare i presupposti al pensiero e alla parola.
Insomma, quello di Genesi 1 è un invito a fare propria la critica contenuta in modi di dire come “parlare prima di pensare” o “parlare senza pensare”, perché la relazione tra silenzio, pensiero e parola è “divina”, quindi è atto d’amore creativo, e come tale deve essere custodito per non venire sprecato.
Si dice anche “conta fino a dieci prima di parlare”. Io preferisco: “fai silenzio in te stesso e non serve contare”.

Roberto Bisio
Presidente
Centro Culturale San Paolo