In principio era il silenzio

Il libro della Genesi e l’intera Scrittura si aprono con il grande inno liturgico di 1,1-2,4a. Il suo carattere “musicale” è facilmente riscontrabile in diversi aspetti del testo, come la struttura in giorni, scandita da parole chiave che si ripetono a cadenze regolari, come “e fu così”, “e Dio vide che era cosa buona”, “e fu sera e fu mattina”, il numero del giorno. A questa di deve aggiungere lo schema della composizione che è sia lineare che concentrico. Dal bere’shit, dall’inizio, fino al shabat, al riposarsi di Dio nel settimo giorno (svolgimento lineare), ma anche dai giorni che si richiamano a due a due, dai capi al centro, all’apice, rappresentato dal quarto giorno, quello della creazione degli astri maggiori e delle stelle, ovvero del “tempo”, attraverso il “calendario”, che sole e luna scandiscono con il succedersi delle stagioni e delle “feste” (svolgimento concentrico).
L’opera di Dio nei sei giorni più uno, si svolge con un ritmo serrato, ma quello che forse non si comprende appieno nell’immediato è il fatto che quel “lavoro” continuo di creazione non avviene nel rumore, o nello scatenarsi degli elementi, come anche certi manufatti artistici suggeriscono. La creazione, infatti, avviene nel silenzio.
L’unica voce che sentiamo agli inizi del cosmo è quella di Dio, ma anche qui la questione assume caratteri particolari, che vedremo in un articolo appositamente dedicato. Il resto è silenzio. Tutto “avviene”, ma non c’è altro che l’”evento”, il venire alla vita delle cose, delle piante degli animali e dell’umanità. Il testo non dice cosa esisteva prima della creazione. La cultura rabbinica cerca un appiglio nella prima lettera della prima parola, bere’shit, la beth, che in ebraico è formata da un elemento verticale e due orizzontali, come due braccia che si protendono in avanti.
Ebbene i rabbini dicono che l’elemento verticale separa la storia, nata dalla creazione, mentre le due braccia si spingono verso il futuro di questa storia.
Prima della creazione, dunque, c’era l’eternità. E l’eternità è un silenzio dal quale emerge, attraverso l’atto di Dio, tutto quanto esiste. Dire “prima” o “dopo” parlando di eternità è di per sé improprio, se come afferma Boezio si tratta di un nunc stans, di un eterno presente, in cui Dio possiede in un unico istante perfetto e simultaneo tutte le cose. Ma l’idea ebraica è quella che esista un punto di svolta che determina la creazione, ovvero l’atto di Dio che è “amore”, e l’amore è per natura silenzioso.
Il prosieguo del brano dimostra in maniera chiara come il contesto dell’”in principio” è silenzio. La terra, infatti, era “senza forma e vuota e la tenebra era sulla superficie dell’abisso”. Il caos delle origini non viene, dunque, inteso come rumore e confusione, ma come vuoto tenebroso e informe. È l’indeterminatezza che domina l’inizio della creazione, non il frastuono.
Un vuoto informe che è silenzio abissale, e che contrasta con il silenzio divino dell’eternità. Non a caso l’atto creatore del primo giorno “separa” la luce dalle tenebre, di fatto “ordina” il disordine e l’incompiutezza, donando riconoscibilità alle cose.
Su questo vuoto aleggia il vento di Dio. essendo il vocabolo usato qui ruach, viene da sé la connessione con lo Spirito di Dio.
Questi aleggia, certo, ma più propriamente “plana”, e ancor più precisamente “cova”: la creazione è in gestazione, e l’azione dello Spirito sulle acque trasforma l’abisso in un utero materno. L’utero è silenzio prima del grido della nascita.
Poi, la voce di Dio crea la luce. E la luce è silenzio, ma è l’elemento che permette di distinguere, di vedere, di illuminare il buio e di separarlo dal giorno, chiamandolo notte. Si chiude il primo giorno. Non una parola dal mondo, non un rumore dall’indistinto vuoto ormai non più tale.
Il testo prosegue su questo tenore fino al settimo giorno, nel quale il silenzio ritorna ad essere “tangibile”. Dio cessa, Dio si riposa.
Non perché ha finito: la creazione continuerà ininterrottamente lungo la storia. ma perché quello è il “suo” giorno, e come tale riporta la creazione all’origine: all’eternità da cui tutto ha preso forma.
Il canto della creazione, ed è un paradosso, prende avvio nel silenzio e attraverso il silenzio al silenzio ritorna, perché tutto è eternità.
Per questo il silenzio è “originario” e all’origine riconduce, in ogni sua “buona” manifestazione. Poiché è riflesso dell’eterno presente che supera la storia e ci riporta al Dio dell’eternità.

Roberto Bisio
Presidente
Centro Culturale San Paolo